Scarpinato e De Raho, esclusione dalla Commissione Antimafia: la polemica infiamma il dibattito pubblico
- redazioneilgazzett
- 11 ott
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Dagli anni del pool con Falcone e Borsellino ai banchi del Parlamento, l’attacco ai simboli della vera antimafia

Sono tra i nomi più autorevoli nella storia della lotta alla mafia in Italia. Hanno servito lo Stato nei momenti più difficili, sotto scorta, a rischio della propria vita. E oggi, paradossalmente, si trovano a dover difendere il proprio ruolo nelle istituzioni da accuse di presunto conflitto di interessi. Parliamo di Roberto Scarpinato e Federico Cafiero De Raho, due ex magistrati simbolo dell’antimafia che rischiano l’estromissione dalla Commissione Parlamentare Antimafia.
Una vicenda che sta suscitando indignazione e interrogativi tra magistrati, politici, osservatori e cittadini. Perché, per la prima volta dalla sua istituzione nel 1962, la Commissione Antimafia potrebbe escludere figure che hanno dedicato decenni della propria vita a combattere Cosa Nostra, la 'Ndrangheta e le altre organizzazioni criminali.
Scarpinato, già Procuratore Generale di Palermo, ha fatto parte dello storico pool antimafia accanto a Falcone e Borsellino. Ha indagato su omicidi eccellenti come quelli di Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, e ha condotto l’inchiesta che ha portato a processo Giulio Andreotti. Negli anni successivi ha inferto colpi durissimi a Cosa Nostra, con sequestri miliardari e condanne decisive. Sempre lontano dai riflettori, sempre con rigore.
Cafiero De Raho, ex Procuratore nazionale antimafia, ha coordinato le più importanti operazioni contro le mafie su scala nazionale, con un’attenzione particolare alla criminalità organizzata del Sud e alla sua evoluzione in forme economiche e finanziarie.
Entrambi sono entrati in Parlamento, eletti con il M5S – come senatore il primo, come deputato il secondo – portando con sé un bagaglio di competenze unico e un’impronta chiara: difendere lo Stato di diritto da chi lo mina dall’interno.
Eppure, oggi, è proprio la loro esperienza a essere messa sotto accusa. Alcuni membri della Commissione e dei partiti di maggioranza parlano di “conflitto di interessi” per via del loro passato da magistrati. Ma su questo punto molti giuristi, ex colleghi e osservatori sollevano dubbi: «Il vero conflitto – scrivono in molti sui social – non è quando chi ha combattuto la mafia tutta la vita continua a farlo in Parlamento. Il conflitto c’è quando chi ha avuto rapporti con ambienti criminali parla oggi di legalità».
Il rischio, dicono in molti, è che si ripeta la storia già vista con Falcone e Borsellino, ostacolati e isolati dalle stesse istituzioni che avrebbero dovuto proteggerli. Anche allora, l’attacco non fu diretto, ma mascherato da procedure, veti, e logiche di potere.
La questione non è solo personale. In gioco c’è la credibilità della Commissione Antimafia, la sua autonomia, e la sua capacità di rappresentare una vera barriera contro ogni forma di criminalità organizzata. E c’è un interrogativo più ampio: che spazio hanno oggi, nella politica italiana, le persone che hanno servito lo Stato con coerenza e senza compromessi?
Difendere Scarpinato e De Raho – concludono molti osservatori – significa difendere l’eredità morale di chi ha scelto lo Stato, anche quando lo Stato ha voltato loro le spalle. Un’eredità che non può essere sacrificata in nome di equilibri politici o di accuse pretestuose.



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